Raccontando le migrazioni stagionali

L’evento della presentazione del libro illustrato Al di là e al di qua dei monti è stata un’occasione per ricordare di un’epoca in cui si migrava stagionalmente verso altri paesi europei o verso altre regioni italiane. Una migrazione che, forse, non è mai cessata, considerando la natura prettamente stagionale di cui vive l’economia del nostro paese.

la scuola

Le fonti storiche dicono…

Le particelle intorno alla zona del castello erano di proprietà del comune, che possedeva anche un appezzamento di terreno immediatamente a nord dell’edificio, attualmente occupato dalla scuola. 

Tale superficie all’epoca del catasto era utilizzata come cimitero del paese. La presenza di questo antico luogo di sepoltura non sembra aver lasciato tracce nella memoria collettiva, che invece si focalizza sull’esistenza del castello favorendo la nascita di varie e colorite leggende narranti tesori scomparsi e tunnel misteriosi.


Le interviste alle persone del paese

Mirco, nato nel 1954, ci racconta come erano le scuole quando lui aveva la nostra età. 

L’attuale edificio scolastico, costruito negli anni Sessanta, non era ancora dotato delle sezioni medie ed elementari. Quando Mirco era piccolo, qui c’erano solo le elementari ed alcune classi delle medie. Mirco ha fatto le medie in parte dove adesso c’è la Casa della Gioventù e in parte nel nostro edificio della scuola. Le classi allora erano molto numerose ed erano divise tra ragazzi e ragazze. Nella sua classe per esempio c’erano 26 bambini. Anche nelle frazioni c’erano molti bambini. In molte frazioni c’erano le scuole elementari, ma per fare le medie i bambini venivano portati qui con un pulmino che era guidato dal papà della Patrizia Agnetti. Quando i bambini sono diminuiti anche nelle frazioni, piano piano le scuole sono state chiuse e anche per fare le elementari i bambini hanno cominciato a venire qui a Berceto. 

Mirco ricorda che nell’edificio della Casa della Gioventù, oltre che esserci alcune classi delle medie, c’era l’unico campo sportivo dove i giovani di Berceto giocavano soprattutto a calcio. Anche l’ora di ginnastica della scuola si faceva nel campo all’aperto perché in quell’edificio non c’era una palestra al chiuso. In inverno i ragazzi spesso dovevano portare da casa legna da ardere nella stufa della scuola. La struttura della Casa della Gioventù era simile a com’è oggi. Lì ci sono state anche alcune classi delle superiori. Erano scuole professionali per elettricisti. Si arrivava fino alla terza. Alcune aule utilizzate dagli elettricisti erano quelle delle ex elementari. 

Mirco ricorda che, sempre alla Casa della Gioventù, una volta all’anno si facevano i Giochi del Ducato che erano organizzati dal Comune di Parma. Erano sempre nuovi giochi mai visti e la finale era svolta a Parma, in particolare si ricorda la finale del 1967. 

I giochi erano molti, a parte i tornei del Ducato e il calcio, Mirco con i suoi amici giocava con i tappi di bottiglia con sopra le figurine dei giocatori che spesso venivano scambiate. Non si faceva commercio sul materiale scolastico ma si scambiavano le figurine o i tappini. Per fare i tappini i ragazzi andavano nella discarica che c’era in fondo al paese, presso il Rio. Andavano a recuperare i vetri rotti, li limavano con i sassi e chiudevano la fotografia del giocatore tra il tappo e il vetro. Poi prendevano lo stucco il quale veniva usato per tappare il tutto.

L’organizzazione dell’insegnamento era diversa da come è oggi, per esempio era più nozionistica e ci si basava molto di più sulle cose studiate a memoria. I maestri e i professori erano temuti. Ci si alzava quando il professore entrava in aula. Alcuni erano di Berceto, ma molti venivano da lontano con le corriere. Per esempio Mirco ricorda un maestro che veniva da Varsi. 

Le materie scolastiche erano come quelle d’oggi ma erano chiamate diversamente (per esempio Tecnologia a quei tempi si chiamava Educazione Tecnica). Si avevano tanti compiti da fare a casa. C’erano libri come oggi, ma ce n’erano pochi. Alle medie si portava un elastico di gomma con avvolti i libri oppure si portavano dentro alle cartelle, non agli zaini. Alle elementari i vestiti erano uguali per tutti gli studenti, ovvero si portava la divisa nera con un fiocco rosso per i maschi e uno rosa per le femmine. 

Le scuole iniziavano sempre il primo di ottobre e finivano a metà giugno. I pomeriggi non si facevano mai, ma si andava a scuola anche il sabato mattina. Le lavagne erano d’ardesia e si usavano per scrivere gli esercizi. Non c’erano quelle elettroniche. Se si faceva il monello ti mettevano dietro alla lavagna  per farti comunque ascoltare la lezione. Ancora oggi ci sono delle punizioni terribili in alcune scuole. Per esempio anche i nuovi studenti che vengono dalla Nigeria e dall’Iraq raccontano di come sono le punizioni nei loro paesi. In Iraq la punizione per i monelli è di stare con un piede e un dito in equilibrio per quasi tutta la giornata e in Nigeria quello di stare piegati con un dito su un piede per molto tempo. 

Prima che ci fossero le scuole dove siamo oggi, nei secoli passati c’era un grande castello. Secondo Mirco c’erano anche le mura a Berceto, attorniate da quattro porte con quattro guardiani. Il castello piano piano è stato smontato dalla gente per farci le case. 

Nel periodo in cui la scuola è stata trasferita dove siamo noi adesso, sopra ai ruderi del castello c’era un prato. I bambini ci andavano a giocare e si faceva ginnastica: era tutto un campo.

Prima ancora che al castello e alla casa della Gioventù, c’è stato un periodo in cui le scuole erano dove adesso c’è il museo accanto al duomo, dunque nel centro di Berceto. Un’altra scuola fu costruita nella piazza Salvo d’Acquisto, dove c’è una parte dalla caserma della polizia.


I nostri ricordi legati al luogo

Il ricordo più bello che ho avuto è stato l’ultimo giorno di scuola alle elementari: mangiavamo pane e Nutella fuori nel cortile e ballavamo nel corridoio. C’erano i miei compagni e altri alunni e la maestra ci chiamava per venire a mangiare.

la casa della gioventù

Le fonti storiche dicono…

L’area su cui attualmente sorge la casa della gioventù appare nel catasto cessato come un’ampia zona a prato dedita al pascolo, appartenuta all’epoca dai fratelli Giannelli di Castellonchio. 

La zona, conosciuta con il toponimo “Il Brolo”, era completamente priva di edifici e l’attuale via Marconi fungeva da confine tra la zona adibita a pascolo, verso sud-est della via, e i numerosi appezzamenti ortivi che si susseguivano a nord-ovest della stessa.

L’attuale via Iasoni, almeno per il suo primo tratto, corrisponde all’andamento di un’antica opera di canalizzazione in uscita dal paese che, sulla mappa, appare in larga parte scoperta e solo in alcuni tratti del nucleo abitato è tombata, essenzialmente laddove passano le strade.

Questo canale attraversa trasversalmente il paese di Berceto e verosimilmente era un’importante fonte idrica per l’irrigazione degli orti che, in particolare, si addensano lungo il suo tragitto. 

La casa della gioventù sorgerà pertanto nei primi pascoli fuori dal paese e dalle sue aree ortive a ridosso di questo antico canale che, probabilmente, si conserva ancora sotto il manto stradale di via Iasoni.

Le interviste alle persone del paese

Per questo luogo per noi tanto importante (perché ci andiamo a giocare tutti i giorni) abbiamo intervistato il Sindaco Luigi Lucchi e Don Giuseppe. 

Abbiamo scoperto che quando Luigi era bambino non c’era molto tempo per giocare perché anche i ragazzi lavoravano in casa, ad esempio lui toglieva i sassi dai campi che andavano arati e poi portavano le mucche al pascolo.

Nell’anno 1948 il prevosto di Berceto Monsignor Grisenti ha raccolto molti fondi per far costruire questo edificio che nei primi tempi ha ospitato anche la scuola media e una scuola di avviamento professionale. Poi nel 1977 ci sono anche stati temporaneamente gli uffici tecnici per la realizzazione dell’autostrada.

Nel campetto della casa della gioventù ci giocavano per lo più i maschi, mentre le femmine giocavano dalle suore. Dove ora ci sono i giochi c’erano i tornei di bocce. Per alcuni anni ci sono stati i tornei di calcio che ospitavano centinaia di persone che però non sono più venute dal 1988, ovvero da quando è stato costruito il nuovo campo sportivo.

Il progetto lo ha disegnato l’Ingegnere Calderoni ma è stata costruita dalla ditta di Andrei Domenico, mentre il salone con il teatro è stato costruito dopo, nel 1965/66 grazie all’impresa che in quegli anni stava facendo l’autostrada. Quelli, per Berceto, sono stati “anni d’oro” infatti il paese ha ospitato un cantiere con più di tremila persone, sembrava di stare a Las Vegas, perché c’era sempre tanta gente e i locali erano sempre aperti.

Sia il Sindaco che Don Giuseppe ci spiegano che questo luogo, ancora adesso, viene chiamato da alcuni “il brolo” che significa “brodo”, “acquitrino”. Un altro nome che gli si dava era “i canapai”, perché i prati che c’erano raccoglievano l’acqua piovana formando degli acquitrini che erano perfetti per macerare la canapa prima della sua lavorazione.

Ora quell’acqua è incanalata in un rio che passa sotto le case ed esce di fianco alla casa protetta (lì infatti c’è la fognatura e il depuratore del paese.)

Scopriamo infine che tempo prima il terreno era un campo della famiglia Agnetti, poi nel 1953 fu venduto alla parrocchia con l’idea di sanificare la palude e costruirvi una struttura per i ragazzi.

L’inaugurazione della casa della gioventù è stata fatta nel 1961. E’ stato un felice evento perché prima che esistesse questo spazio i ragazzi hanno giocato anche dove ora c’è la sagrestia, che un tempo era l’appartamento del cappellano. Sempre nelle stesse sale si guardava la TV insieme a tante persone del paese perché è qui che è arrivata la prima televisione! 

I giochi nuovi che ci sono adesso sono stati regalati da un signore americano che ha aiutato anche a restaurare l’edificio dell’asilo vecchio, mentre il campetto di cemento è stato fatto intorno agli anni Novanta, prima c’era il bosco che scendeva fino al campo.

I nostri ricordi legati al luogo

Una volta, alla casa della gioventù, nella giornata dei “gavettoni”, c’era odore di erba e di cemento bagnato. Un mio amico, E., ci aveva dato molto fastidio, ci toccava, ci urlava… Allora abbiamo deciso di allearci e l’abbiamo bagnato un sacco e lui ci urlava contro e ci picchiava e alla fine, quando noi gli abbiamo tirato la secchiata finale, ha detto parolacce e poi se ne è andato.

Questa è la strada che collega la mia casa con la casa della gioventù.

Mi ricordo quando i miei amici avevamo fatto un torneo e appena prima di cominciare ho detto ad un mio amico: ” se fai due gol e vinciamo ti porto lo shampoo e ci laviamo i capelli insieme alla fontana del parco”. Così, quando stava per finire il torneo, lui non aveva ancora fatto un gol ma poi ci diedero un rigore che lui trasformò con grande precisione in un gol. Così il giorno dopo gli portai lo shampoo e ci lavammo i capelli nella fontana. L’odore dello shampoo era buonissimo e poi un amico lo prese e lo mangiò anche! Ci siamo divertiti un sacco!

i giardinetti

Le fonti storiche dicono…

L’area a parco compresa tra via Lucchi e via Silva presenta tutto intorno un’urbanizzazione recente. Il confronto con la mappa del catasto cessato di inizio Ottocento evidenzia di come, quasi duecento anni fa, l’area fosse quasi del tutto priva di fabbricati. Via Silva era l’unica arteria stradale della zona rappresentata in catasto che permetteva, tramite l’uscita dal paese, il collegamento con l’attuale statale 62 della Cisa. A nord di questa strada, che aveva l’andamento pressoché identico all’attuale,  vi era a lato del primo tratto rettilineo dove ora si trova la casa della salute un possedimento chiamato “La Tognina”, con una piccola “cassina” di limitate dimensioni e di proprietà di Giovanni Beloli e nipoti all’epoca della stesura del catasto.

Proprio di fronte a questa casa e a lato della strada si estendevano dei prati e terreni arati, mentre sul limitare del paese, grossomodo all’imbocco di Via Marconi si estendeva un piccolo appezzamento ad orto.

Alle spalle della casa “La Tognina” si aprivano invece appezzamenti di terreno verosimilmente adatti al pascolo o al taglio del fieno, indicati nei registri del catasto come “colto-nudo”. Simili qualità del terreno caratterizzavano inoltre anche i terreni a sud di Via Silva, proprio laddove ora è possibile vedere la piantumazione ad alberi. I proprietari di questi altri appezzamenti erano, all’epoca del catasto, sempre i Beloli cui si aggiungevano alcuni appezzamenti di proprietà delle famiglie Caprara, Malpelli e Becchetti.

Il rettifilo di Via Silvia, in prossimità dell’attuale numero civico 15, terminava inoltre con una piccola cappelletta dedicata alla Santa Croce e di proprietà del comune di Berceto all’epoca del catasto cessato. Questo piccolo monumento era stato eretto poco fuori dal paese, a scenografica conclusione del largo rettifilo in leggera salita di via Silva, appena prima di incontrare il primo tornante verso destra e verosimilmente costruito con la facciata rivolta verso il paese. Nella mappa, infatti, è rappresentato graficamente l’andamento curvilineo di quella che doveva essere una piccola absidiola rivolta, forse non casualmente, verso il sorgere del sole a est. In questo modo, chi usciva dal paese per dirigersi e salire verso l’attuale statale si sarebbe subito trovato in mezzo ad ampi spazi aperti e prativi, per poi lasciarsi sulla sinistra l’unica casina esistente, la Tognina, avendo sempre di fronte al proprio cannocchiale prospettico la cappellina dedicata alla santa Croce, ultima costruzione prima di abbandonare Berceto.

E’ interessante notare di come l’intitolazione della cappellina isolata nei prati sia legata al culto della Santa Croce, probabilmente indizio di una ben radicata cultura agreste che prevedeva secondo le più antiche tradizioni contadine particolari festività e riti propiziatori da svolgersi durante la festività connessa alla croce di Cristo, in relazione alla fertilità dei campi e al risveglio della primavera (le cosi dette rogazioni).

Via Silvia, almeno nel suo primo e più largo tratto, dovette perciò essere stata in passato uno spazio fisico particolarmente frequentato, grazie al suo ruolo strategico di congiuntura tra ambiente urbano e contado. Forse il fatto che proprio questo primo tratto stradale fosse più ampio ne sottolinea il suo largo utilizzo. Alcuni documenti e immagini storiche ricordano ad esempio la sosta in loco dopo un lungo viaggio di Luisa Maria di Francia, madre illustre dell’ultimo duca di Parma Roberto I di Borbone.

Le interviste alle persone del paese

Intervistando il Sindaco Luigi Lucchi e la signora Maria Rosa Gabelli scopriamo che i giardinetti rappresentavano la parte finale del paese, infatti da qui iniziavano i campi (dove ora c’è via Monsignor Lucchi).

Una volta tra i bercetesi vi erano molti contadini o commercianti e la compravendita di animali era importante per tutti. Si vendevano soprattutto le vacche e le pecore e il mercato del bestiame si teneva proprio in questo luogo tutti i giovedì. Poi, agli inizi del secolo scorso il mercato l’hanno spostato dove ora c’è il campo da bocce e intorno al 1950, qui sopra alla piazza detta “della marina” c’erano già i giardinetti.

Era un giardino con una fontana rotonda al centro con i pesci rossi e aiuole disposte intorno a raggiera. Dopo alcuni anni ci hanno messo dei massi di ofioliti, ma erano troppo appuntiti e pericolosi, molti genitori si sono lamentati per la pericolosità e allora li hanno tolti. C’era anche una lapide piramidale dedicata ai caduti della prima guerra, ma è stata tolta perché era di ferro arrugginito.

Maria Rosa ci fa notare che i gradoni che ci sono ora, se si guarda bene, simulano una cascata ma sono soprattutto scomodi.

Scopriamo che l’edificio sopra i giardinetti, dove adesso c’è la Croce Rossa, era chiamata “la casa della mula”: era una casetta di pietra dove stava una mula bianca che trainava il carretto con cui lo spazzino raccoglieva l’immondizia! Ebbene sì, un solo carretto una volta bastava per tutta l’immondizia del paese, anche se la popolazione era più numerosa di oggi, questo anche perché la plastica non c’era e l’umido veniva dato alle galline.

Come abbiamo detto, questa zona è ancora chiamata “la marina” perché qui c’era molta acqua. Sotto di noi ci sono ben 13 metri di galleria dove scorre acqua sorgiva che è stata dirottata verso la fontana del paese.

Ecco i giochi che facevano i bambini di una volta nei giardinetti: mosca cieca, nascondino, tamburelli con le palline, il telefono senza fili, 1-2-3 stella, sassolini… Visto che “sassolini” non lo conosciamo Maria Rosa ce lo ha insegnato.

A nascondino era bello giocarci in autunno perché ci si nascondeva tra gli alberi, mentre d’estate si prendevano le lucciole e le si raccoglieva nei bicchieri … non c’erano i lampioni e quindi ce n’erano molte più di adesso!

Le giostre che ci sono adesso le ha messe l’amministrazione Biliardi circa 15, 20 anni fa. Prima del 1900 questo terreno era della famiglia Cardinali, che l’ha lasciato al comune con la promessa di lasciarci gli alberi.

Negli anni Ottanta il parco è stato dedicato a Tatanka Yotaka, capo Sioux, perché il nostro sindaco Luigi Lucchi quando era bambino aveva letto un messaggio di Toro Seduto al Parlamento del Canada, e da allora ha sempre sognato di conoscere gli indiani d’America. Quando nel 1985 è diventato assessore si è impegnato per farli venire a Berceto e ci è riuscito l’11 settembre 1988.

I nostri ricordi legati al luogo

Mi ricordo quando io e mio cugino avevamo giocato nei giardinetti, prima del covid perché da allora non ci siamo ancora visti perché lui abita a Mantova. Si sentiva il canto degli uccelli e l’odore dei fiori. Spero ci ritorneremo.

Io e i miei amici quando usciamo al pomeriggio facciamo merenda in questo parco giochi e ci divertiamo, parliamo e scherziamo insieme.

Il mio ricordo legato a questo posto (i giardinetti) è quando io e mio papà andavamo sempre dalle altalene e lui mi spingeva. Mi divertivo molto. Mi ricordo l’odore dell’erba che sapeva di nuovo, il vento che fa volare via le foglie e il rumore dell’acqua della fontana che cade, goccia dopo goccia.

Qui siamo io e mio padre mentre pattiniamo ai giardinetti. Era autunno, aveva appena piovuto e c’era l’odore delle foglie bagnate. Era molto ventoso e si sentivano i pattini strusciare contro il pavimento bagnato.

il seminario

Le fonti storiche dicono…

L’area del seminario e del Santuario della Madonna delle Grazie nel catasto di Maria Luigia appare come un’ampia zona caratterizzata da estesi appezzamenti prativi. 

Il santuario è una piccola chiesa attorniata da un fienile verso il lato sud-est e da una casa con orto verso nord-ovest di proprietà dei fratelli Giannelli di Castellonchio. Sull’area di questa casa si svilupperà, nel corso dell’800, l’attuale grande costruzione seminarile. 

A parte questo piccolo nucleo di edifici, il resto della campagna circostante è quasi del tutto priva di costruzioni. Sono solamente visibili a monte di via Evasio Colli, al tempo indicata come “strada vecchia” e sostanzialmente corrispondente all’attuale tracciato, e appena poco fuori paese due costruzioni indicate nel registro delle particelle come “cassine”, ossia cascine. 

Questi piccoli edifici rettangolari, isolati e privi di elementi di servizio abitativo quali orti o pozzi, anche in base alla loro nomenclatura potrebbero essere stati semplici ricoveri di servizio oppure luoghi adibiti alla preparazione dei formaggi. L’ampia presenza di aree prative circostanti a questi fabbricati rende infatti plausibile un loro eventuale utilizzo da parte di pastori.

La cascina a monte di via Colli aveva di fronte una piccola aia e appare affiancata da un fosso. E’ indicata in mappa con il toponimo “La Galera” e apparteneva alla vedova Moretti Maria di Borgo Taro, mentre la cascina posta a nord del Santuario, poco fuori il paese, è situata presso “Il Pianello” e apparteneva a Lorenzo Marchetti di Parma. 

I prati vicino al santuario posti a est della strada appartenevano in parte sempre ai Giannelli e in parte al chirurgo bercetese Francesco Barbutti. Essi sono indicati con il micro-toponimo “prati alla madonna”. L’indicazione gerografica “Il Pianello”, che caratterizza anche l’area attorno al santuario, sottolinea invece la presenza di una superficie semi-pianeggiante pertinente a un grande corpo franoso sui verrà impostata la chiesa.

Le interviste alle persone del paese

Il 29 Aprile siamo andati tutti insieme al Seminario di Berceto, dove abbiamo intervistato Don Giuseppe.

Il Don ci ha spiegato che a Berceto passa la via Francigena, la strada che dalla Francia va fino a Roma, e sin dal Medioevo, grazie a questo sentiero il borgo di Berceto ha iniziato ad ingrandirsi ed è stato costruito un monastero. Il Duomo era il centro di questo monastero.

Esso è stato edificato perché un re longobardo molto importante, Liutprando, aveva bisogno di un luogo che potesse occuparsi dei suoi soldati che passavano in continuazione in tutti i ducati e i suoi possedimenti. Allora aveva fatto creare dei punti di sicurezza lungo la strada e chi transitava di qui poteva dormire al sicuro.

Il paese di Berceto si è sviluppato proprio intorno al monastero ed è stato circondato dalle sue mura di sicurezza, le cui porte venivano chiuse tutte le notti soprattutto per proteggersi dalle invasioni di popoli nemici.

Vista la grande affluenza di pellegrini e persone che transitavano lungo la Via Francigena ad un certo punto ci si rese conto che andava creato un punto di accoglienza sicuro anche fuori dalle mura del paese dove i viandanti potessero trovare un minimo di tranquillità e sicurezza anche con le porte di accesso chiuse. Fu così che questo luogo divenne un convento di frati Agostiniani. Nella metà del 1800 esso venne ingrandito e divenne il Seminario Minore, ovvero un luogo dove si studiava per diventare preti.

Abbiamo inoltre scoperto che ogni prima domenica dopo il 2 di luglio viene celebrata la “Festa del Voto”. Questa è una celebrazione molto importante che ha caratteri sia civili che religiosi ed è molto antica in quanto i cittadini di Berceto, durante la peste del 1630, hanno pubblicamente firmato un Rogito d’Impegno chiedendo alla Madonna di scongiurare il contagio della peste. Visto che la grazia era stata concessa i cittadini di Berceto rinnovano ogni anno il voto e portano la Madonna in processione. 

Sempre legata alla Madonna del Santuario c’è una leggenda riguardo il misterioso dipinto che si trova sopra l’altare. La leggenda racconta che l’immagine della Madonna delle Grazie fu scoperta da alcuni pastori e contadini al Passo della Cisa, proprio sul confine con la Lunigiana. Gli uomini iniziano a discutere per il possesso della bella statua: quelli di Berceto volevano portarla nel loro paese e quelli di Pontremoli in Lunigiana. Per non discutere ulteriormente essi legarono insieme due buoi (uno di Pontremoli e uno di Berceto) e li lasciarono andare senza guida: dove si fossero fermati sarebbe diventato il luogo prescelto dalla Madonna! I due buoi, che non erano mai stati aggiogati insieme, con sicurezza si diressero verso Berceto. Si fermarono presso un roseto, alle porte di Berceto, nello stesso luogo dove fu costruito il Santuario. Il culto per la Madonna delle Grazie si diffuse rapidamente in tutte le vallate e anche la gente di Lunigiana continuava a ritenere la Madonna delle Grazie anche un po ‘ la loro Madonna.

Ecco una rappresentazione un pò fantastica del Seminario di Berceto. La si può trovare all’interno della rara edizione MONUMENTI E MUNIFICENZE DI SUA MAESTA LA PRINCIPESSA IMPERIALE MARIA LUIGIA. La didascalia di questa stampa dice: SEMINARIO DI BERCETO (ANNI 1840-1841)

il fortino

Le fonti storiche dicono…

Il colle del fortino napoleonico, struttura difensiva voluta in realtà da Maria Luigia, è un acrocoro roccioso che nel catasto cessato risulta parcellizzato in diverse proprietà. 

Il toponimo di questo dosso, al tempo della realizzazione della mappa era “Il Poggiolo” ed evidenzia l’altura sul panorama circostante. Nel catasto non sono indicate aree boschive circostanti, ma piccole particelle di terreni qualificati come “Zerbo”, ossia luoghi incolti e petrosi. 

Nella mappa Il luogo non era ancora occupato dal Fortino ed era completamente libero da costruzioni. Il crocevia di strade convergenti al bivio per la SP 15 che scende verso il Baganza già esisteva invece, ma con sensibili differenze. 

L’attuale via Silva si innestava con la statale della Cisa leggermente più a nord dell’attuale percorso, grossomodo dove sorgono ora le prime case del bivio, mentre la mulattiera che ancor oggi si può notare immediatamente a valle della statale in prossimità dell’attuale incrocio, corrisponde all’ antica direttrice che uscendo dal paese di Berceto si dirigeva verso il Baganza. Questa strada, sostituita poi dagli attuali tornanti della SP 15, è pressoché scomparsa dal lato che scende verso il paese. 

In prossimità del medesimo incrocio si distaccava, come oggi, la strada invece diretta a Corniglio, ora declassata a semplice mulattiera per piacevoli passeggiate dirette al Baganza. 

La storia ci ricorderà, oltre la collocazione strategica del forte, l’importanza dello stesso come strumento di lavoro per gli scalpellini del luogo e, sebbene non sia stato effettivamente utilizzato per particolari eventi bellici, il forte mostra proprio il suo maggior sviluppo e complessità nel lato rivolto verso l’incrocio di strade. 

Il fortilizio verrà eretto laddove in mappa compaiono piccole particelle di terreno incolto, disposte in sequenza tra loro e con andamento perpendicolare rispetto al pendio. All’epoca della stesura della mappa i proprietari di questi terreni erano Giovanni Belloli e Lorenzo Marchetti, che probabilmente utilizzavano questi terreni a pascolo. Le proprietà antistanti il poggiolo dal lato verso il paese ora sono lotti urbanizzati, ma al tempo erano invece inclusi in un beneficio parrocchiale appartenente alla chiesa di Berceto.

Le interviste alle persone del paese

Per avere ricordi del fortino abbiamo intervistato la signora Annamaria Tebaldi, nata nel 1932, la cui famiglia è proprietaria del luogo ma, come ci spiega la signora Tebaldi, negli anni passati non si badava troppo al concetto di “proprietà”.

Scopriamo che il Fortino è stato fatto costruire da Maria Luigia per avere il controllo della strada imperiale, come si chiamava allora, e per dar lavoro agli scalpellini di Berceto (come dicono in paese). In paese è conosciuto come “Il Forte”.

La vegetazione intorno al luogo non è mai stata molto fiorente, per questo all’epoca in cui lei era piccola lo chiamavano “il pelato”. La vegetazione è nata in un secondo momento, grazie anche ai bambini delle scuole che per la festa degli alberi sono andati a piantare dei pini. 

Ai tempi della guerra il fortino non è stato utilizzato ma sulla strada passavano molti mezzi militari e Annamaria dice di aver visto dalla finestra un carro armato che cercava di salire sul fortino, senza riuscirci. 

Negli anni passati il fortino non veniva trattato come una struttura di grande importanza, ma veniva utilizzato soprattutto come ritrovo fra amici: è sempre stato un luogo di giochi e dispute per i ragazzi di Berceto, che spesso si sfidavano in battaglie di sassi! Due squadre molto forti erano quella del castello e quella del fortino, ma anche quella della piazzola (ovvero P.za Barbuti).

Qualche anno fa è stato restaurato dal comune di Berceto e, stando ad alcune voci del paese, pare che nel restauro sia stato ricoperto un buco, il quale si diceva che fosse un corridoio di tramite tra il castello e il fortino ai tempi della guerra, ovvero un luogo in cui le famiglie si potevano nascondere per proteggersi e cercare di salvarsi.

I nostri ricordi legati al luogo

Il mio ricordo del fortino è quello di una giornata d’estate dove ero andato a cercare i fossili. Era già passata mezz’ora ma non riuscivo a trovare niente e allora mentre tornavo giù mi sono guardato intorno e ho visto uno strano sasso, mi sono avvicinato e ho visto che era un fossile! Dopo averlo guardato sono tornato giù e l’ho fatto vedere a mio papà.

Mi ricordo che una volta al fortino siamo andate io, S. e G. a parlare e sparlare. C’era vento e freddo perché aveva appena finito di piovere e c’era umido.

il castello

Le fonti storiche dicono…

Nel registro delle particelle catastali conservato presso l’archivio di Stato di Parma, la particella occupata dal castello è dapprima indicata come casa di proprietà, per poi subire una correzione a inchiostro indicando la costruzione come cadente. 

Questi dettagli suggeriscono il lento e inesorabile declino del maestoso edificio, che da antico cuore del governo rossiano e palazzo signorile diventa poco alla volta cava di materiale edile. 

All’epoca della realizzazione della mappa la particella catastale indicata come “costruzione cadente” non corrisponde per estensione agli attuali ruderi riscoperti, rispetto ai quali occupava una superficie di minore estensione. 

Gli spazi attorno a questo fabbricato, corrispondenti in larga parte agli attuali spalti più esterni del fortilizio, erano evidentemente già caduti da tempo e indicati come terreni ridotti a “zerbo”, luogo incolto e petroso.

I nostri ricordi legati al luogo

Noi andavamo a nasconderci al castello quando giocavamo a nascondino.

Durante un pomeriggio di sole io e i miei amici dovevamo andare a mangiare il nostro panino ma non sapevamo dove. Dunque abbiamo scavalcato sui muri per entrare nel castello a mangiare, solo che ci stavano per scoprire (la signora dell’AVIS) e dunque siamo scappati a gambe levate.